Stereotipi e comunicazione: un argomento bollente e che mi sta a cuore.
La cultura da millenni indottrina e costruisce modelli di pensiero condiviso oltre che canoni di bellezza che diventano stereotipi ripetuti anche nella declinazione della comunicazione.
Ci hai fatto caso? I visual di certi segmenti di mercato sono layout ripetuti all’infinito perché sembrano funzionare.
Colori, forme, posizioni, sfondi, temi: basta dare un’occhiata ad Instagram per rendersi conto di quanto certi canoni stereotipati siano replicati per raggiungere obiettivi di posizionamento e di popolarità anche quando tutto questo va a scapito di una narrazione reale. Abbiamo sempre pensato alla bellezza come un fine o come un mezzo, ma a furia di rincorrerla forse abbiamo perso qualcosa di molto importante: il senso sano dell’imperfezione, proprio quello che ci rende unici e assoluti.
Se la bellezza è intesa come quello che brand e influencer in questo momento propongono di continuo forse dovremmo fermarci un attimo a riflettere:
la comunicazione tende a fare leva più sui bisogni di appartenenza (e quindi anche asset emotivi negativi: frustrazione, inadeguatezza) che su processi empatici reali.
La costruzione di modelli estetici dovrebbe essere etica e non uniformante per seguire una mission di benessere e di legame emozionale autentico. Invece no, abbiamo stereotipato un modello che probabilmente con il significato di bellezza ha poco a che fare, ma che supporta un concetto di “Persona di successo” subordinando l’umanità ad un ruolo periferico.
STEREOTIPI COME ANTIDOTO ALL’ANSIA
Noi parliamo di stereotipi quando le nostre emozioni, i nostri giudizi di valore e i nostri atteggiamenti, intesi come disposizioni ad un agire corrispondente, non si rapportano ad esperienze da noi fatte riguardo a un certo fenomeno, ma sono una reazione ad una parola-nome, che suscita in noi quelle sensazioni, quei giudizi e quegli atteggiamenti.
Quindi evochiamo ed emuliamo modelli. Ma quanto può essere efficace una comunicazione a lungo andare che simula e non è?
Nella comunicazione e nella costruzione di brand parliamo sempre di elementi differenzianti, ma questi vanno identificati e perseguiti anche nella strategia di posizionamento.
Non è solo una questione di particolari visivi, ma il plus di brand passa attraverso una presa di posizione comunicata in maniera particolare, ad un packaging alternativo, ad una disformità che diventa valore aggiunto invece che deficit.
Faccio un esempio pratico: io sono “x” azienda che produce biscotti ed ho sostanzialmente la stessa linea di prodotti del mio competitor “y” che però è più grande, performante e posizionato. La tendenza dei brand è quella di emulare la comunicazione del pack utilizzando gli stessi pantoni, font similari e così via: è un errore enorme.
Assomigliare al prodotto di un altro, confondendo le idee al consumatore non farà altro che peggiorare la percezione del tuo brand nel caso in cui non sarà stato soddisfatto dell’esperienza con il prodotto. Bisogna invece costruire una narrazione di marca in grado di rendere inequivocabile brand e prodotto nella casellina percettiva dell’utente/consumatore.
Mi farebbe piacere conoscere le tue esperienze in merito o che mi suggeristi delle case history particolarmente significative in positivo o in negativo.
Nel caso tu voglia contattarmi puoi farlo cliccando qui.