Neurobranding e Neuromarketing sono due discipline bellissime e complementari tra loro. Nella piramide delle discipline si trovano alla base di tutte le attività di marketing e comunicazione e sono dotate di un superpotere: la predittività.
Conoscere quale sarà il risultato delle nostre azioni strategiche prima che vengano attivate può essere un grande vantaggio per tanti validi motivi.
I numeri del marketing tradizionale, senza anima e senza la scintilla dell’umanità, non occupano più la prima fila nel teatro di chi vuole far crescere e durare nel tempo il proprio brand.
Se è vero che nessuno ha in tasca la bacchetta magica è anche vero che le neuroscienze applicate a questi segmenti diventano ogni giorno di più una risorsa a disposizione di brand e professionisti.
Sembra essere una novità, ma gli esseri umani sono sempre al centro di ogni azione di marketing e comunicazione. Comunichiamo alle persone, vendiamo alle persone, entriamo in contatto con le persone. Conoscerne i bisogni, le percezioni, le reazioni, i desideri vuol dire poter orientare eticamente la comunicazione e trarne il maggior beneficio.
Se fare neuromarketing vuol dire raccogliere ed interpretare gli insight neurologici e neurofisiologici degli individui, vuol dire anche indagare e interpretare le risposte che il nostro corpo offre in maniera fisiologica e non verbale.
tutto comunica, il neurobranding ed il neuromarketing ottimizzano
Partiamo da un presupposto: qualsiasi cosa è comunicazione. Colori, forme, suoni, movimenti, tutto. Ed ad ogni azione corrisponde una reazione, che piò essere positiva o negativa. Che può avvicinare o allontanare la nostra persona dal messaggio.
Costruirla attraverso l’applicazione del neurobranding e del neuromarketing vuol dire farla essere brain friendly.
Come si fa? Bene, bisogna avere un approccio molto preciso, ovvero dare la priorità all’indagine del nostro pubblico, costruire la nostra brain personas, andare a scoprire come pensa, cosa sogna, per cosa si emoziona e di cosa ha bisogno.
In qualche maniera, diciamocelo, è importante cambiare l’approccio che abbiamo nei confronti del marketing e della comunicazione. Pensare che avere una brand identity o fare della social media strategy senza che siano ottimizzati per le nostre persone è una procedura lontana anni luce dalla qualità e dalla possibilità di essere efficaci.
un approccio di metodo e di obiettivi per tutti
Queste due discipline, che hanno la buona reputazione per essere complesse e costose (come tutte le cose fatte bene), possono trovare un adeguamento anche per i brand che non dispongono di budget altissimi. La misurazione attraverso gli strumenti preposti al neuromarketing non è l’unica maniera. L’utilizzo delle psicometriche è un buon metodo per attivarle.
Il nostro cervello lavora in maniera abbastanza simile in tutti gli esseri umani, sebbene sia una parte del nostro organismo di cui ancora molto dobbiamo scoprire. Questa caratteristica favorisce la ricerca di una certa tipologia di target e l’applicazione della grammatica di comunicazione più giusta per conquistarlo. Le dinamiche di orientamento all’acquisto o di fidelizzazione al brand trovano spesso un corrispettivo in passaggi strategici che coinvolgono la nostra memoria e la nostre emozioni. (Qualche tempo fa ho scritto un articolo su come “progettare un’emozione” e, se vuoi approfondire puoi leggerlo qui.) Tutto sta nel saperle accendere.
Mi piace pensare che il neurobranding e il neuromarketing siano il principio di consapevolezza che ci libera dalla sciatteria e dalle azioni senza senso, che rappresentino il capovolgimento della prospettiva.
Perché farlo – cambiare prospettiva, appunto – è un esercizio di intelligenza e, perché no, anche di competenza: avere la possibilità di conoscere in anticipo cosa e come fare una certa azione, vuol dire essere lungimiranti e predisporsi a fare il proprio mestiere di imprenditore o di professionista per gli altri, a beneficio di quello che è altro da me.