Il mondo cambia ad un passo più svelto della politica.
A quanto pare in questo tempo nuovo i brand hanno acquisito un potere assai più rilevante di cambiare il mondo e di educare intere popolazioni di quanto riesca a fare la politica negli scenari mondiali. Sostenibilità, diritti umani, gender gap, femminile autorevole, equità sociale, tutela dei più deboli: questi sono i temi determinanti che muovono l’orientamento alla scelta dei consumatori e che si fanno bandiera dell’agire strategico di moltissime aziende. Infatti, se la politica promette e spesso non mantiene, utilizzando il linguaggio e le neuroscienze applicate con scopi talvolta manipolatori, i brand si fanno precursori e sembrano essere capaci di stare maggiormente all’ascolto dei bisogni delle persone. Il neuromarketing, infatti, indaga per consentire identità, obiettivi, prodotti e servizi che possano essere realmente utili senza indurre a bisogni predeterminati. Cosa c’è di più funzionale che raccogliere dati qualitativi per offrire alle persone quello che viene da loro richiesto? In un’epoca in cui cittadini e i consumatori sono maggiormente evoluti e consapevoli, i modelli di sviluppo che hanno considerato l’umano come mero acquirente e hanno operare nell’ottica dell’arricchimento di pochi a scapito dei più, sembrano vacillare. Sebbene il mondo continui a muoversi nella direzione dello sviluppo e del capitalismo esasperato, quest’ultimo trova sempre più obiezioni e opportunità nel senso opposto di marcia. Gli imprenditori sono più preparati e predisposti al cambiamento di quanto lo siano intere classi dirigenti e assumono un atteggiamento critico nei confronti delle pratiche di sviluppo economico perpetuate negli ultimi decenni e si danno nuove priorità.
I brand cambiano il mondo
È un dato di fatto: in questo scenario assai mutato il paradigma delle identità d’impresa si fa protagonista dei cambiamenti della società mettendo in discussione il modello capitalistico che siamo abituati a frequentare da anni.
Proprio recentemente un veterano dell’industria italiana come Carlo De Benedetti ha preso una posizione netta su questo tema in un libro dal titolo “Radicalità, il cambiamento che serve all’Italia”. De Benedetti, nonostante sia stato uno dei protagonisti della scena dello sviluppo del Paese negli anni in cui il concetto stesso di grande impresa non andava proprio a braccetto con i valori dell’umanesimo, oggi ritiene che non possa esistere uno sviluppo sano delle economie e delle società senza la tutela del bene comune. Pone al centro due obiettivi: la salvezza del pianeta e la dignità del lavoro. Altra notizia recentissima è il record di utile netto ed incassi per il brand Brunello Cucinelli (con un previsionale per il 2023 di un + 12-15% sui ricavi). Cucinelli è considerato nel mondo l’uomo del capitalismo umanistico, investe in opere sociali, nella tutela della bellezza, ridistribuisce il valore dentro e fuori la sua azienda. I numeri che riesce a generare sono la dimostrazione che si può ambire a fatturati a moltissimi zeri anche quando la vision e la mission dell’azienda contribuiscono al benessere condiviso. Ma Cucinelli non è l’eccezione che conferma la regola perché crescono sempre di più in Italia le aziende, anche nella piccola e media impresa, che aspirano a identità benefit e che stanno costruendo una geografia dell’impresa evoluta.
Ce lo dicono i dati di EBC il movimento internazionale che propone un modello socioeconomico etico in cui l’economia mette al centro il benessere delle persone e del pianeta. Sappiamo adesso che molto di ciò che fino a ieri veniva archiviato sotto la voce “costo” può rivelarsi, invece, un formidabile atout nella costruzione dell’autorevolezza di un brand o nella fidelizzazione del pubblico, oggi più che mai, attento alle politiche inclusive o ambientaliste di un’azienda.
Neuromarketing: uno strumento etico per l’economia del bene comune
Le neuroscienze applicate motivano questo cambio di passo insegnandoci che, oggi più che mai, con la scalata dei social media come mezzo di comunicazione di massa, le persone scelgono cosa comprare e da chi. Questo per merito dei valori condivisi e della comunicazione. Le azioni di brand positioning mirano a consolidare e a divulgare la vision invece che il prodotto stesso. Oggi, le aziende riescono, grazie al neuromarketing, ad indagare eticamente i bisogni, i desideri e le attese del pubblico attivando procedure d’impresa, azioni concrete volte a migliorare il mondo, a sbriciolare stereotipi, a fare da detonatore a quelle procedure che sembravano incrollabili.
E soprattutto le aziende riescono ad essere incisive in purpose che poi diventano fatti, diventano messaggi reiterati che non vengono smentiti e che, nella mente del pubblico, diventano prodotto cognitivo, ovvero una percezione che ha il superpotere di orientare le scelte e di farci sentire parte di qualcosa più grande di noi.
Potrebbe sembrare semplicistico asserire quindi che sarebbe necessario adottare un modello di sviluppo che corrisponda maggiormente alle persone e alle necessità del pianeta? Può sembrare utopistico aspirare ad un modello di principio etico che orienti l’agire delle imprese? Credo che la risposta sia no, perché i numeri, così tanto cari ai manager e agli investitori dimostrano che l’impresa etica sia utile oltre che funzionale. Che il bene comune è un principio che dovrà fare da bussola a quelle aziende, grandi e piccole, che vorranno continuare a presidiare e a crescere sul mercato. Se fino a qualche anno fa la comunicazione parziale rendeva il benessere condiviso un bisogno inconsapevole (e quindi non pungolato), adesso è una delle motivazioni per cui le persone orientano le loro azioni e le loro scelte di acquisto.
Siamo quindi chiamati a cercare un incremento di competenza: non basta più la tecnica a sostenere i nostri piani di crescita, perché è necessario affrontare le domande che ci vengono dal sociale, dall’orizzonte valoriale, in una parola, dall’umano.
Autrice di NEUROMARKETING ETICO. Ascoltare le persone per costruire brand efficaci.