Cari ragazz*,
stiamo per iniziare un lungo viaggio insieme, non so voi ma io sono emozionata e carica di aspettative. Gli amici de La Content quest’anno mi hanno chiesto di andare oltre la mia masterclass di neurobranding e neuromarketing, quindi sarò io ad accompagnarvi come coach del corso Social media e Multimedia Producer cercando di essere la colla e la forbice che dovrà tessere la trama della competenza e della maniera (attenzione questa è una parola importante!) di fare questo mestiere.
Ho pensato a lungo a quello che io, tanti anni fa, avrei voluto imparare con un aiutino in più e sono arrivata alla conclusione che al di là della tecnica, delle teorie, delle ottimizzazioni, degli strumenti, (di cui parleremo accuratamente) qualcuno avrebbe dovuto aiutarmi a collaudare la VISIONE.
Per questo io, quest’anno, proverò ad insegnarvi l’UTOPIA.
Per anni ci hanno detto che per fare marketing e comunicazione dovevamo essere bravi a saper raccontare il prodotto. Per carità è vero, ma un brand non è solo questo. Il brand è l’utopia stessa. Il brand è la maniera, il progetto, il superamento del limite. Il brand è la capacità di guardare al di là della siepe, è il metodo con cui si pensa e si contribuisce a creare identità, abitudini, bisogni, desideri e immaginari. E lo si fa attraverso ogni “gesto” della nostra comunicazione.
Pensare di mettere in piedi strategie di comunicazione e posizionamento nella costante gara del prodotto migliore – con una narrazione concentrata sulle caratteristiche del prodotto stesso o, peggio ancora sul prezzo – contribuisce a spogliare le imprese del valore più alto e costringe noi professionisti a non fare un lavoro degno di nota.
Uso spesso la parola UTOPIA e lo faccio tenendo bene a mente Bloch.
L’utopia di cui tratta Bloch rimanda solo genericamente al significato che il termine assumeva negli autori rinascimentali poiché per lui l’utopia non vuole intendere un contenuto utopistico, vale a dire impossibile perché privo di una qualsiasi base reale, senza un’effettiva possibilità di realizzazione, ma un contenuto utopico, non chiaramente determinabile di per sé, ma possibile, indicante la strada da percorrere per raggiungere un obiettivo lontano ma conseguibile; se si parlasse in termini politici, l’utopia di Bloch potrebbe essere assimilata a un programma politico a lunghissima scadenza.
E voi adesso starete pensando: cosa c’entra l’utopia con il neurobranding ed il neuromarketing? Cosa c’entra l’utopia con i social media e con i contenuti? C’entra!
C’entra perché lavoriamo per le persone e con le persone, non solo utilizzando le neuroscienze, ma scegliendo l’umano come approccio al come e al cosa fare.
Per questo non avremo paura di camminare su strade che qualche volta non saranno ben asfaltate, sapremo imparare reciprocamente ad ascoltare, ad avere a che fare con qualcosa che vale molto di più di uno strumento. Maneggeremo le idee, le emozioni, le direzioni, impareremo ad imparare e a lavorare insieme anche da luoghi molto distanti tra di loro.
Impareremo a confrontarci e ad andare oltre il consueto. Ecco, sonderemo l’inconsueto, nuoteremo nell’ordinario e costruiremo ponti nello stra-ordinario.
O almeno ci proveremo. Che poi, almeno a me, questo lavoro ha insegnato che a furia di provare e di sbagliare si diventa bravi a far sembrare facili anche le cose difficili. E molto di quello che mi sembrava utopia oggi è un fatto. Un fatto vero.
Uno di questi lo state leggendo: dieci anni fa mi sarebbe sembrato impossibile che qualcuno potesse chiedermi di fare da guida a qualcun altro. Invece eccomi qui.
Ci vediamo in classe.
Prestissimo.
PS: Grazie a Cristiano, Alessandro, Luisa e Marco per aver pensato a me.